XXVI canto del Paradiso

E come a lume acuto si disonna
per lo spirto visivo che ricorre
a lo splendor che va di gonna in gonna, 72
e lo svegliato ciò che vede aborre,
sì nescïa è la sùbita vigilia
fin che la stimativa non soccorre; 75
così de li occhi miei ogni quisquilia
fugò Beatrice col raggio d'i suoi,
che rifulgea da più di mille milia: 78
onde mei che dinanzi vidi poi;
e quasi stupefatto domandai
d'un quarto lume ch'io vidi tra noi. 81
E la mia donna: «Dentro da quei rai
vagheggia il suo fattor l'anima prima
che la prima virtù creasse mai». 84
Come la fronda che flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva
per la propria virtù che la soblima, 87
fec'io in tanto in quant'ella diceva,
stupendo, e poi mi rifece sicuro
un disio di parlare ond'ïo ardeva. 90
E cominciai: «O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico
a cui ciascuna sposa è figlia e nuro, 93
divoto quanto posso a te supplìco
perché mi parli: tu vedi mia voglia,
e per udirti tosto non la dico». 96
Talvolta un animal coverto broglia,
sì che l'affetto convien che si paia
per lo seguir che face a lui la 'nvoglia; 99
e similmente l'anima primaia
mi facea trasparer per la coverta
quant'ella a compiacermi venìa gaia. 102
Indi spirò: «Sanz'essermi proferta
da te, la voglia tua discerno meglio
che tu qualunque cosa t'è più certa; 105
perch'io la veggio nel verace speglio
che fa di sé pareglio a l'altre cose,
e nulla face lui di sé pareglio. 108
Tu vuogli udir quant'è che Dio mi puose
ne l'eccelso giardino, ove costei
a così lunga scala ti dispuose, 111
e quanto fu diletto a li occhi miei,
e la propria cagion del gran disdegno,
e l'idïoma ch'usai e che fei. 114
Or, figluol mio, non il gustar del legno
fu per sé la cagion di tanto essilio,
ma solamente il trapassar del segno. 117
Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
quattromilia trecento e due volumi
di sol desiderai questo concilio; 120
e vidi lui tornare a tutt'i lumi
de la sua strada novecento trenta
fïate, mentre ch'ïo in terra fu' mi. 123
La lingua ch'io parlai fu tutta spenta
innanzi che a l'ovra inconsummabile
fosse la gente di Nembròt attenta: 126
ché nullo effetto mai razïonabile,
per lo piacere uman che rinovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile. 129
Opera naturale è ch'uom favella;
ma così o così, natura lascia
poi fare a voi secondo che v'abbella. 132
Pria ch'i' scendessi a l'infernale ambascia,
I s'appellava in terra il sommo bene
onde vien la letizia che mi fascia; 135
e El si chiamò poi: e ciò convene,
ché l'uso d'i mortali è come fronda
in ramo, che sen va e altra vene. 138
Nel monte che si leva più da l'onda,
fu' io, con vita pura e disonesta,
da la prim'ora a quella che seconda, 141
come 'l sol muta quadra, l'ora sesta».


Ho analizzato questo canto della Divina Commedia per la mia tesi di laurea,
ammetto che ero molto riluttante all'inizio, poichè Dante l'ho sempre visto ocn gli occhi da studente a cui s'impone un argomento del genre, sono finita a far una tesi su Dante per disperazione e poi invece me ne sono innamorata, perchè dite ciò che volete il Sommo Poeta conquista,sa affascinare come non mai.
Scelsi questo canto della Divina Commedia perchè fui ammaliata dalla musicalità,
dalla dolcezza con cui Adamo si rende conto del suo errore...
E poi il canto affronta vari argomenti dal peccato originale, dall'uso del volgare da parte di Dante per un argomento di così tal importanza....
Nella sua difficoltà Dante mi ha facilitato tutto ed ha fatto in modo che io mi laureassi in tempo....
Un grazie al Sommo Poeta

Commenti

  1. Avviso che manca una parte iniziale del canto, poichè per la mia tesi sono partita da qusto punto e quindi ho deciso di pubblicare la parte da me analizzata, spero che chiunque si soffermi su questo blog abbia un pò di tempo per leggere questo canto...
    Buona lettura

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  2. Entra da Silente87... troverai Dante - ciao Buona domenica

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  3. è splendido....uno dei miei preferiti del Paradiso!
    nadia

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