Pomeriggio al cinema

 

Oggi voglio parlarvi di due film che ho appena visto. Uno è “Lo spazio bianco”, girato da Cristina Comenicini tratto dall’omonimo libro di Parrella Valeria, e “Il grande sogno” diretto da Michel Placido. Due completamente diversi, l’uno parla della maternità, l’altro del grande sogno che hanno vissuto le generazioni degli anni ‘60.

Lo spazio bianco è un film a mio parere bellissimo, commovente e che fa riflettere, non sempre la maternità è qualcosa di dovuto, aspettato o voluto, ma è sempre un evento particolare, che cambia totalmente l’individuo. La maternità vissuta pian piano, senza pretese, senza nessuna aspettativa della perfezione dell’evento. Un momento bello ,ma terribile, pieno di paure, di angosce, ma anche di meraviglia per la creazione di un altro essere vivente.

Un film da non perdere, almeno secondo me!

 

 

 

locandinaMaria, insegnante di italiano in una scuola serale di Napoli, vive da sola, senza genitori né amanti. Tra una confidenza all’amico Fabrizio e un ballo in discoteca, trascorre i pomeriggi al cinema, dove incontra Pietro, ragazzo padre in preda a una crisi isterica del figlioletto. I due si frequentano, hanno una relazione e Maria rimane incinta. Alla notizia, il compagno non ne vuole sapere, rifiuta di partecipare alla gravidanza, non vuole prendersi responsabilità e, quando la bambina nasce prematura, Maria dovrà affrontare il calvario dell’attesa completamente da sola.
La nascita di un bambino prematuro spezza il naturale percorso di crescita di madre e bambino. Con l’interruzione – seppur transitoria - dell’evoluzione fisica della piccola creatura, si sospende anche la preparazione psicologica di chi lo ha portato in grembo fino a quel momento. Impotente di fronte ad un’incubatrice algida e ostile, Maria non può fare altro che rimanere in attesa di un’epifania che illumini una strada da seguire. La rivelazione del destino di Irene, indecisa tra nascita e morte, ‘incubata’ anch’essa in un processo di maturazione, si trattiene e svela, con parsimonia, solo piccoli segni di vita: il monitor che conferma il battere del cuoricino, e il ritmo, fin troppo costante, del respiro costretto a tubi e pompe ospedaliere.
Il tempo passa, lasciando il segno del suo spietato scorrere verso il futuro sull’animo della madre, costretta a rimanere bloccata nello ‘spazio bianco’ del titolo, dove vita e morte coincidono. La toccante storia di Maria, alle prese con una gravidanza inaspettata e tardiva, viene narrata con dolcezza, senza accomodanti: la protagonista, inizialmente infastidita da tutte le  preoccupazioni tipiche da mamma (i primi vestitini e i disegni infantili), impara assieme alla figlia ad avvicinarsi al compito della maternità. Non è sicura di voler accettare la responsabilità di una bimba da crescere, fatica ad avere pazienza, vorrebbe scoprire subito se la piccola Irene ce la farà. La figura di Margherita Buy, svestita dai tic nervosi a cui ci ha abituato, viene incessantemente seguita dalla macchina da presa e inquadrata in primi piani commoventi, difficili da sostenere. Attorno a lei, si muovono personaggi che hanno subito il dramma della rinuncia: la dirimpettaia magistrato, costretta a vivere scortata e lontano dai figli, gli attempati alunni della scuola, in difficoltà con Dante e Leopardi, le madri dell’ospedale, private della giovinezza dall’arrivo casuale di un figlio. Sono figure di contorno che vanno avanti, accecate dalle incombenze quotidiane, ma capaci di esprimere grande umanità. In qualche modo, tutte contribuiscono a dare un senso compiuto alla maternità di Maria, aiutandola ad affrontare il dolore, anche quando rimangono apparentemente lontani dall’evoluzione degli eventi.
Lo stile narrativo della Comencini, posato e realistico come in passato, si apre questa volta anche alla forza visionaria di alcune scene surreali (il ballo delle madri, la scomparsa di Pietro dietro una folla di scout in piazza Plebiscito), intermezzi dell’anima che esprimono la parte più intima e personale della protagonista. Nell’attesa di un segno rivelatore, di un cambiamento, di un assestamento, le tende dell’ospedale si aprono e si chiudono segnando il repentino passaggio dall’insicurezza a brevi momenti di gioia, dallo sconforto alla speranza. La musica, tutta al femminile (Blondie, Nina Simone, Cat Power, Ella Fitzgerald), avvolge il dramma dell’attesa in una delicatezza priva di facili sentimentalismi, accarezzando la storia e infondendole forza e tenacia. Un modo raro di raccontare che porta l’attenzione su uno dei momenti più straordinari della vita di una donna. Tra il ‘bianco’ che annulla e contiene tutte le emozioni e lo ‘spazio’ dell’anima, dove la nascita di un figlio riserva un posto speciale.

locandina (1)

Nicola è un giovane poliziotto che ama il teatro e vorrebbe diventare attore. Laura è una studentessa universitaria di matrice cattolica pronta a lottare contro l'ingiustizia. Libero è un leader del movimento studentesco. Gli anni sono quelli che precedono, attraversano e seguono il 1968 e i suoi rivolgimenti. Nicola, infiltrato dai suoi superiori nel movimento, si innamorerà di Laura e cercherà anche di comprendere un mondo che gli è al contempo congeniale e lontano.
Michele Placido decide di raccontare se stesso e la sua gioventù. Lo fa cercando di descrivere mondi differenti che si incontrano/scontrano in un periodo di fermenti sociali e culturali. L'operazione riesce a metà perché il dato personale e autobiografico al contempo frena e fagocita lo sguardo complessivo.

Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più, in realtà si parla poco del “grande sogno” di quella gioventù, ma forse essendo in parte la biografia della gioventù di Placido, magari lui il grande sogno neanche l’ha visto, come l’hanno visto chi ha partecipato e vissuto a pieno quegli anni. Comunque questa è solo la mia opinione, per cui spero che chi l’abbia visto possa dirmi la sua.

Buona visione a tutti!

Commenti

  1. Grazie per le segnalazioni, se deciderò di andarli a vedere ti farò sapere.
    Un bacione
    Nicoletta

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  2. il secondo intriga pure a me.
    grazie delle anticipazioni

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